“Spogliò sé stesso” (Fil 2,5-11)
 
 
«Abbiate in voi lo stesso sentimento
che è stato anche in Cristo Gesù,                                                                                                         
 
il quale, pur essendo in forma di Dio,
 
non considerò l'essere uguale a Dio
 
qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso,
 
prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini;
 
trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso,
 
facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.
 
Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre
 
Paolo ai Filippesi 2,5-11
 
 
Care sorelle, cari fratelli,
 
           viviamo in un’epoca di terribili e inaudite migrazioni. Individui e famiglie si spostano da un continente all’altro, in genere dal Sud al Nord del globo, per sopravvivere alla fame e alla guerra. In gioco è sempre la vita della persona che affronta nuovi ambienti e culture quasi sempre ostili. La crisi e le paurose incertezze del nostro tempo ci inducono a vivere l’identità in modo conflittuale, che temiamo di perdere. Consolidiamo posizioni di sospetto e autodifesa, creando barriere di faziosità nei confronti dei nuovi migranti o nascondendoci nell’indifferenza.
 
          Anche Dio migra. Cristo passa per una migrazione: dall'eternità fino allo svuotamento, abbassamento e annichilimento nella morte, fino ad essere innalzato sulla croce. Dio, che non vuole trattenere la sua divinità, quasi fosse frutto di una rapina, spoglia sé stesso di tutto, tranne che dell’amore. Ascoltiamo in questo antico inno citato da Paolo ai Filippesi la storia di Gesù, il migrante in transito che attraversa le fasi dell’abbassamento e che non cede alla tentazione di considerare il suo essere uguale a Dio qualcosa da carpire.
 
Questo sentimento di Gesù serve all’apostolo per esortare all'amore reciproco e all’abbandono della faziosità; non è solo un invito all'unità, ma all’unità intorno a Cristo, nella sua abnegazione. Invece di cercare il potere, volle esprimere la sua essenza nell'amore, come migrante in una terra ostile. Noi ci liberiamo dal tormento di dover tutelare la nostra identità quando ci convertiamo da una mentalità di possesso che occupa spazio ad una mentalità di amore che lascia spazio. Dio scelse di restringersi per non occupare tutti gli spazi e far posto all'esistenza degli altri.
 
                                   Al cuore della Buona Notizia c'è la venuta e la morte di Cristo, che riconosciamo come atto liberatorio. Questa morte provoca un’irruzione di vita; è centrale perché apre la via a nuove relazioni di fiducia sul fondamento del perdono. L'amore prima del diritto, prima dell'identità.
Dopo la sua morte, Cristo non si ritira dal mondo diviso e ostile per abbandonarlo al suo destino: al suo innalzamento il Padre gli conferisce il nome al di sopra di ogni altro nome. Si tratta di un atto di portata cosmica che non estingue il tempo dell'umiliazione: proprio Gesù crocifisso è il Signore Risorto ed innalzato che continua per mezzo di noi e malgrado noi a riconciliare il mondo e a servire gli ultimi. Egli è il Signore di tutta la realtà, come lievito nascosto nella realtà, alla gloria di Dio Padre.
 
Past. Jonathan Terino